martedì 6 novembre 2012

De etica politica

di Claudio


politica
Il maggior problema, ossia uno dei maggiori problemi (ce ne sono tanti) che l'idea di governo fa sorgere è questo: Chi è giusto che governi? O meglio, chi è così bravo da indurre la gente a farsi governare da lui?
A ben analizzare, si vedrà che: a) chi più di ogni altra cosa desidera governare la gente è, proprio per questo motivo, il meno adatto a governarla; b) di conseguenza, a chiunque riesca di farsi eleggere Presidente dovrebbe essere proibito di svolgere le funzioni proprie della sua carica, per cui: c) la gente e il suo bisogno di essere governata sono una gran rogna. […]
Ma chi può mai governare, se a chi desidera farlo non è permesso farlo?”

Vi starete chiedendo chi sia questo guru dell'etica politica, se Marx, Rousseau, Hobbes o Tocqueville. Nessuno dei precedenti, è infatti Douglas Adams, nel capitolo ventotto del suo “Ristorante al termine dell'Universo” (seguito della famosa Guida Galattica per Autostoppisti), a sviscerare il pensiero cardine dell'etica politica. È proprio a partire da questa osservazione che lo scrittore comico-fantascientifico ci fornisce che dovremmo riflettere su l'intero sistema politico in vigore.
Chi governa, chi è al potere è li perchè vuole essere li, al comando, e questo fa di lui un potenziale danno per la società stessa che dovrebbe governare non per perseguire i propri interessi, ma per il bene della stessa.
Anche quando, seguendo le orme del sogno americano, un uomo pone ogni suo sforzo per il bene della nazione e coltiva l'ambizione di divenire presidente degli Stati Uniti per porsi al servizio della sua gente, anche in questo nobile e romanzato caso pare ovvio che egli non sarà mai preparato a governare al meglio una nazione. Ben che meno se si osserva la realtà dei fatti, in cui i candidati raramente aspirano ad una tale benevola condizione di Servizio.
La classe politica, nel particolare italiano, giunge al potere con l'obbiettivo di “fare politica” non di governare. La differenza è sostanziale, è come se la gente si mettesse a dipingere non per il gusto artistico proprio o altrui, ma per ricavarne denaro e fama. Direte: ma questo accade anche nell'arte!
Vero, ma come la musica, la scrittura o l'amore, nel frangente in cui vengono fatte per scambio di denaro, perdono il diritto di essere chiamate arti, non divengono altro che mere imitazioni di ciò che ostentano. Lo stesso discorso vale per la politica.
Certo, dal punto di vista storico è accertato che la politica dall'alba dei tempi sia stata effettivamente un modo per avere potere. Ma la democrazia sulla quale ne nostre nazioni sono fondate, non è stata pensata come metodo di controllo della popolazione ma come un mezzo per la popolazione per auto gestirsi e proteggersi.
La pubblica amministrazione dovrebbe essere al servizio dei cittadini, garantendone sicurezza e la felicità. Riportando l'articolo 3 della costituzione italiana: “[...] È compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione della politica, economica e sociale del Paese.” Amministrazioni clientelari e nepotistiche sono però all'ordine del giorno, incostituzionalmente aggrappate ad un concetto di politica vecchio che andrebbe cancellato. L'accezione “classe politica” andrebbe menzionata nei dizionari come un arcaico metodo di lucro, non come la realtà dei fatti. Un mondo governato da persone adatte alle cariche per cui si candidano è possibile, ma può essere perpetuato solo da noi cittadini. Questo vuole essere un invito a scegliere con cognizione il destinatario della nostra delega. Non è più il tempo, di mettere una croce su di un viso convincente o su un simbolo di partito legato ad un ideale ormai morto, al contrario, non lo è mai stato. È tempo di eleggere solo coloro che siano realmente in grado di governare adeguatamente la nazione nella quale vorremmo essere orgogliosi di vivere.

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